Approfondimenti... Azione clinica e azione politica

La Psicoterapia è considerata tradizionalmente un intervento individuale dal valore meramente clinico, il cui effetto si esaurisce all'interno della relazione terapeutica. Terapeuta e paziente, all'interno del setting clinico s'impegnano ad onorare il contratto terapeutico che regola la relazione tra i due, nel rispetto del codice deontologico.

L'incontro tra terapeuta e paziente è però inserito all'interno di contesto molto più ampio. Esso avviene all’interno di tutti quei determinanti tramite cui una società prende forma assegnando a ciascuno, a seconda della propria posizione sociale, un preciso capitale sociale, culturale, economico, cognitivo, emotivo e di salute.

Il paziente, il terapeuta e le condizioni del loro incontro (mediato da molti fattori non individuali) sono influenzate e plasmate da questi determinanti sociali

Le evidenze epidemiologiche, le scienze sociali e l'esperienza di ciascuno ci insegnano che tra le pieghe della sofferenza individuale si annidano proprio quei processi sociali, culturali, economici e politici che Farmer- e prima di lui Galtung - chiamavano violenza strutturale. Gli effetti di questa violenza vengono incorporati, seppur in misura diversa per via della diseguale disponibilità di risorse, dai singoli e dai contesti, abbattendosi così sulla coppia terapeutica.

La sofferenza di ciascuno, terapeuta incluso, diventa il testo su cui è possibile scorgere la storia della violenza della struttura sociale sul corpo dell'individuo e sul corpo sociale che può farsi sintomo individuale o di una collettività nel suo accumularsi.

La predisposizione di sistemi di cura che, sulla base della consapevolezza dei determinanti sociali della salute mentale, possano resistere, opporsi e testimoniare un'alternativa a questi processi rappresenta a tutti gli effetti un atto politico volto al cambiamento non solo dell'individuo che arriva in consultazione, ma della società nel suo insieme e del modo di stare insieme.

Tale atto politico prende consistenza, all’esterno del più pertinente ambito politico territoriale, nazionale e globale, nei rapporti e nelle dinamiche relative all'organizzazione di ciascun servizio, nelle scelte operate da ciascun servizio nei confronti della cittadinanza, dalla scelta delle teorie e delle prassi cliniche utilizzate, nella demistificazione dell'ideologia dominante, nella promozione di valori più consonanti all'autentica realizzazione di ciascuno e di tutti, nella costruzione di possibilità di incontro che si sottraggano ai meccanismi che generano sofferenza, legati alla stratificazione sociale e all’esclusione sociale.

All'interno della relazione clinica, in questa prospettiva, l'obiettivo ultimo del terapeuta, cessa di essere di per sé il benessere del singolo paziente danneggiato nell'incontro con il mondo.

Il paziente non viene ortopedicamente corretto, dotato maggiori risorse e restituito al mondo per resistere alle dinamiche sociali che producono la sofferenza.

Il fine della relazione terapeutica diventa l’azione congiunta su queste dinamiche. Insieme terapeuta e paziente, consapevoli dei determinanti sociali della salute, lavorano per trovare quegli strumenti che permettano al paziente, sottraendosi a logiche malsane, di prendere parte attivamente al processi di cambiamento delle dinamiche sociali nella costruzione di una società meno violenta, più giusta e più equa.

 

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